Cucina povera by manzOni
Tracklist
1. | Mario in diretta tv | 3:10 |
2. | Dal diario, a mia madre | 4:13 |
3. | Scusami | 3:33 |
4. | ... ed ecco l'alba | 5:23 |
5. | Una garzantina | 3:05 |
6. | A mio padre | 3:34 |
7. | Dimmi se è vero | 3:28 |
8. | In toscana | 4:41 |
9. | La strada | 10:46 |
Credits
released October 2, 2012
“Cucina povera”: a due anni dall‘esordio che aveva il nome del gruppo, ad uno dall‘ep “L‘astronave” e dopo tanti concerti sorprendenti con un seguito di pubblico crescente. Il gruppo veneto torna con un nuovo lavoro che ne conferma la potenza e alza non di poco il livello del songwriting. E ancora una volta la biografia si fa sangue, e il sangue impasta l‘humus post-rock di marca Constellation di una delle più belle e intense sorprese dell‘indie-rock italiano degli ultimi anni. Luigi Tenca, oggi cinquantanovenne, dice e canta parole che raccontano la sua-propriastoria-universale. Il mestiere di vivere narrato in dettagli carveriani, palpitazioni alla Ciampi, canzoni che diventano sempre più canzoni evitandosi i ritornelli: perché non ritorna niente, tutto avviene, segna, un giorno dopo l‘altro, con quel cognome che non sai se è una beffa o un sigillo venuto male, di uno venuto a patti con la musica quel tanto che basta per rimanerci dentro, proprio come per la vita.
E poi chi la musica la fa: Fiorenzo Fuolega, Carlo Trevisan, Emilio Veronese, Ummer
Freguia, tutti trentenni al seguito di quella fiamma d‘uomo che brucia.
Quattro chitarre, quattro cavalli lanciati nella pianura e nei falsopiani delle parole di Luigi, due che diventano colpi di batteria e flussi di loop. Tensioni che s‘intrecciano, nervosismi e landscapes sonici, crescendo che sanno di artigianato e fatica. Il post-rock è la nostra musica popolare, arroventa l‘unica utopia rimasta, quella di muscoli cardiaci che urlano liberi il loro intenso senso di esistere.
Di questo i manzOni sono portatori, vittime, alfieri. Di questo “Cucina povera” è un canto costolare e ieratico. Una confidenza che esplode nel cosmo. Un colpo inferto all‘abuso del nulla. Un qualcosa che allarga lo spettro d‘emozioni di chi ascolta e ricorda che, sì, c‘è ancora una possibilità, almeno una. Almeno per ciò che raccorda il sangue e le stelle.
“Cucina povera”: a due anni dall‘esordio che aveva il nome del gruppo, ad uno dall‘ep “L‘astronave” e dopo tanti concerti sorprendenti con un seguito di pubblico crescente. Il gruppo veneto torna con un nuovo lavoro che ne conferma la potenza e alza non di poco il livello del songwriting. E ancora una volta la biografia si fa sangue, e il sangue impasta l‘humus post-rock di marca Constellation di una delle più belle e intense sorprese dell‘indie-rock italiano degli ultimi anni. Luigi Tenca, oggi cinquantanovenne, dice e canta parole che raccontano la sua-propriastoria-universale. Il mestiere di vivere narrato in dettagli carveriani, palpitazioni alla Ciampi, canzoni che diventano sempre più canzoni evitandosi i ritornelli: perché non ritorna niente, tutto avviene, segna, un giorno dopo l‘altro, con quel cognome che non sai se è una beffa o un sigillo venuto male, di uno venuto a patti con la musica quel tanto che basta per rimanerci dentro, proprio come per la vita.
E poi chi la musica la fa: Fiorenzo Fuolega, Carlo Trevisan, Emilio Veronese, Ummer
Freguia, tutti trentenni al seguito di quella fiamma d‘uomo che brucia.
Quattro chitarre, quattro cavalli lanciati nella pianura e nei falsopiani delle parole di Luigi, due che diventano colpi di batteria e flussi di loop. Tensioni che s‘intrecciano, nervosismi e landscapes sonici, crescendo che sanno di artigianato e fatica. Il post-rock è la nostra musica popolare, arroventa l‘unica utopia rimasta, quella di muscoli cardiaci che urlano liberi il loro intenso senso di esistere.
Di questo i manzOni sono portatori, vittime, alfieri. Di questo “Cucina povera” è un canto costolare e ieratico. Una confidenza che esplode nel cosmo. Un colpo inferto all‘abuso del nulla. Un qualcosa che allarga lo spettro d‘emozioni di chi ascolta e ricorda che, sì, c‘è ancora una possibilità, almeno una. Almeno per ciò che raccorda il sangue e le stelle.